venerdì 3 maggio 2013

STORIA DEL GIORNALISMO ITALIAN0



di  Nino Amoroso
Le origini del giornalismo sono antichissime e si perdono nella notte dei tempi. I leggendari Sumeri, intorno al 3.500 a.C., conoscevano già quest’arte. Infatti, le pietre raccontano imprese di popoli primitivi, anche se è difficile considerare una pietra l’equivalente di un giornale: ma il mutamento della tecnica non tocca la sostanza quando lo scopo resta identico, cioè far arrivare i messaggi.
Allontanandosi dalle incertezze di un’epoca lontana, molti ritengono Erodoto -  molto più vicino a noi -  il padre del giornalismo.  Erodoto (V sec. a.C.) può essere considerato, in effetti, il primo “inviato speciale” poiché  viaggiò molto e lasciò particolareggiate relazioni di ciò che vide e conobbe durante i suoi viaggi: grazie a lui sappiamo dell’esistenza del popolo dei Tauri, che sacrificava alla regina Ifigenia i greci catturati sul mare,  degli Agatirsi che avevano le donne in comune, dei Neuro o lupi-mannari, delle Amazzoni, ecc…   E’ certo che nessun giornalista di oggi potrebbe dire di più su questi popoli di quello che ha raccontato Erodoto, con una tecnica chiara “dell’evidenza”, invidiata dai giornalisti di tutte le epoche.
Queste stessa tecnica dell’evidenza fu sfruttata, più di un secolo dopo, da uno dei maggiori scrittori di tutti i tempi, il grande Platone, narrando la morte di Socrate:
documento e testimonianza altissima di un’arte che pure trasse il suo contenuto tragico dalla realtà e affidò il ricordo di quel sacrificio alla magia della parola.
Per noi, comunque, la storia del giornalismo comincia dai romani che conobbero il giornale, dal latino diurnalis, nel senso preciso del termine, e lo conobbero da tempi antichissimi. Infatti, Flavio affermò che i Babilonesi avrebbero avuto storiografi incaricati di scrivere “giorno per giorno” il racconto degli avvenimenti pubblici.  L’antica Roma ebbe  i suoi “annali” dai primordi della storia. Lo affermano concordemente Cicerone e Servio, che raccolsero le antiche memorie della città.
Ma il giornalismo romano esce dalla preistoria con i “Commentarii” di Giulio Cesare. Il termine “commentarii” non fu inventato da Cesare, esisteva prima di lui e significava un particolare modo di scrivere che noi chiamiamo “appunto”,  cioè una nota presa sul momento a ricordo della cosa accaduta o magari dettata all’istante al giornale per telefono.
Il giornalismo nel Medioevo non ha storia, perché in questa epoca solo i monaci si incaricavano di diffondere le notizie di maggior interesse. Nel 1450 fu inventata da Giovanni Gutenberg di Magonza la prima macchina tipografica, che doveva porre la premessa per un rapido sviluppo del giornalismo. Trascorse, invece, oltre un secolo prima che si avviassero i timidi tentativi per stampare un foglio di carta recante alcune notizie, che verranno chiamati “avvisi”.
Con l’inizio del Seicento si diffonde l’uso delle “gazzette”, cioè di più “avvisi”, raccolti ed ordinati secondo la provenienza,  e che sono le antenate dei nostri attuali giornali.  L’origine del nome è dovuta alla moneta veneziana di sue soldi, che allora era il costo di una copia della “gazzetta”.

La storia dei giornali italiani prima del Risorgimento è abbastanza sbiadita. La rivista di maggiore fama, dopo “Il Conciliatore”, fu ”L’Antologia”, fondata da Gino Capponi. Quando sopravvennero i moti del 1848, a seguito dell’abolizione della censura, fiorirono i fogli liberali, tra cui “Il Nazionale” di Silvio Spaventa e “Mondo Nuovo” di Petruccelli della Gattina. Il valore giornalistico di questa stampa è limitato, ma il propulsore del giornalismo italiano nel senso moderno della parola fu proprio Petruccelli della Gattina.

Ferdinando Petruccelli della Gattina esordì come uomo politico, rappresentante della Lucania al Parlamento di Napoli. Il giornale che nel 1848 fondò a Napoli, “Mondo Nuovo”, fu certamente il più polemico d’Italia, ma non fu soltanto questo. Petrucelli introdusse nel giornalismo italiano il “colore”. Si trattava, però, di un colore a chiaro-scuro, tutte luci ed ombre, sulla scia della tradizione pittorica napoletana e la moda romantica del tempo.
Egli non fu mai sobrio nell’utilizzo di aggettivi, e tuttavia certe sue scene conservano la freschezza ed il fascino dei grandi reportages, come la descrizione che fece della battaglia di Custoza e di cui il “Figaro” di Parigi scrisse:  «La sua descrizione del campo di battaglia di Custoza, visto di notte, eguaglia in orrore le acque forti del Goya, o le cere spaventose del siciliano Zumbo, che si vedono alla Signoria di Firenze: la notte piena di spavento, una carneficina piena di fantasmi, con pozzo di sangue e grida di feriti. No, niente era più fantastico e più crudelmente vero di quel quadro d’agonia. Mai il reportage ha dato un’opera d’arte superiore, ad un tempo scorrevole e definitiva».

Il giornalismo italiano della seconda metà dell’Ottocento seguì la fortuna di questa formula e l’espressione più importante del modello di scrivere un giornale in modo spigliato e spregiudicato si chiamò “Il Fanfulla”, che uscì a Firenze il 16 gennaio 1870, nel 1876 fu trasferito a Roma e, per molti anni, fino all’avvento della sinistra al potere, fu considerato il più autorevole giornale d’opinione.

Ma mentre le fortune del “Fanfulla” declinavano per l’abbandono dei redattori più preparati, si affacciava a Roma “Il Messaggero”. Il giornale fu fondato da Luigi Cesana nell’anno 1872 e cominciò ad essere pubblicato in piccolo formato al prezzo di un soldo.  Il “Messaggero” in pochi anni divenne un giornale popolare, arrivando verso la fine del secolo alla tiratura giornaliera di 20.000 copie. Seguirono poi le testate del Fracassa, Don Chisciotte e la Tribuna in cui entrarono, giovanissimi, Matilde Serao  -  quando ancora era una semplice impiegata delle poste -  e Gabriele D’Annunzio.

Tuttavia il giornalismo romano della fine dell’Ottocento, nonostante la sua sufficienza, nonostante il vantaggio nella sede del centro politico del paese, rimase artigiano e per certi aspetti provinciale, quando già a Milano si affermavano due grandi giornali, la cui tiratura ai primi del Novecento raggiunse le centomila copie: “Il Secolo” e “Il Corriere della Sera”.
Per molti anni “Il Secolo” fu considerato il giornale di Milano, della Lombardia e dell’Emilia. Il proprietario del “Secolo” era Edoardo Sonzogno e fu il primo editore a creare, per il proprio giornale, servizi telegrafici di corrispondenza, una perfetta rete di distribuzione in tutta Italia e la stampa con moderne rotative.
Il duello tra “Il Corriere della Sera”  ed “Il Secolo” per la conquista del mercato e per il titolo di maggior organo di stampa italiana, durò a lungo e si concluse con la vittoria de “Il Corriere”.

Questo giornale è nato il 5 marzo 1876 per iniziativa di un gruppo di conservatori moderati con a capo un giovane cantoniere, Benigno Crespi. Il primo gennaio del 1900 la tiratura arrivò a centomila copie. Nella redazione entrarono Ugo Oietti e Luigi Barzini, Arnaldo Fraccaroli e Guelfo Civinini. La direzione venne assunta da Luigi Albertini, cui è succeduto il fratello Alberto e che hanno trasformato  “Il Corriere della Sera” in un grande giornale europeo con l’attuale tiratura di seicentomila copie.

Ma la particolarità della stampa quotidiana in Italia è che nessun giornale, per quanto autorevole e ricco di mezzi come “Il Corriere della Sera”, vi ha assunto l’importanza di organo principale, come il “Times” di Londra o “Le Monde”  di Parigi.
La provincia italiana non si lascia mai imporre il giornale né da Roma, né da Milano; ha saputo mantenere  la sua autonomia  d’indirizzo e di gusto e ha rispecchiato, anche nel giornalismo, le tradizioni locali.

“La Gazzetta del Popolo” e poi “La Stampa” a Torino, “Il Secolo XIX” e “Il Lavoro” a Genova, “Il Gazzettino” a Venezia, “L’Arena” a Verona,  “Il Resto del Carlino” a Bologna, “La Nazione” a Firenze,  “Il Telegrafo” a Livorno, “Il Mattino” e “Il Roma” a Napoli, “La Gazzetta del Mezzogiorno” a Bari, “L’Ora” a Palermo, hanno sempre riscosso la preferenza dei lettori di queste città.

Un posto importante nella stampa provinciale italiana occupò nei decenni che seguirono l’Unità d’Italia il giornalismo napoletano. La diffusione di giornali partenopei interessò moltissimo la regione Molise, per cui è opportuno parlare più diffusamente della loro storia.

Giornalismo napoletano
E’ impossibile elencare tutti i giornali che si stamparono a Napoli dal 1860 al 1900, basti dire che verso il 1880 si contavano nella città più di cinquanta quotidiani, alcuni dei quali, scritti e stampati dal proprietario, avevano il formato di un foglio.
Favoriva questa fioritura l’ingegno meridionale, la passione politica e l’onesta speculazione: perché coloro che Ferdinando II chiamava “pennaruli” non dimenticavano quello che aveva detto un loro vecchio collega tanti anni prima e, cioè che: «Lo scrivere, quando non è arte, diventa professione».

Dalla mole di quegli scritti spuntarono fuori, talvolta, vigorose personalità e nacque nel giornalismo una scuola che prese il nome di Napoli.
“Il Giornale di Napoli”, la “Libertà Cattolica”, “Il Corriere del Mattino”, “Il Pungolo”, “La Patria”, “Il Piccolo”, “Il Diritto”, ebbero tutti un momento di gloria.

Signori del giornalismo napoletano in quel periodo furono Raffaele De Cesare, Rocco de Zerbi, Martino Cafiero, Francesco D’Ovidio, Ferri, Zumbini e Francesco de Sanctis che fondò un suo giornale che, secondo lui, doveva “rinnovare la sinistra” .

Un posto d’onore nel giornalismo napoletano ebbe la coppia Scarfoglio-Serao. S’erano conosciuti  e sposati a Roma quando entrambi frequentavano la redazione del “Fanfulla”. Nel 1885, poco dopo le nozze, fondarono “Il Corriere di Roma”, che non ebbe fortuna. Michele Chilizzi li chiamò a Napoli alla direzione de “Il Corriere di Napoli”. Alcuni anni dopo, allo Schilizzi venne in mente di presentarsi deputato, non fu eletto e ne riversò la colpa su Scarfoglio, il quale, dopo furibonda lite, fondò in proprio “Il Mattino”.

Nato nel 1882, dopo la formazione del primo gabinetto Giolitti, “Il Mattino” ebbe subito successo. Erano i tempi dello scandalo della Banca Romana e delle polemiche che ne seguirono. Eduardo Scarfoglio si tuffò nella mischia portandovi una parola tagliente, un’oratoria calda e convincente, un rigore logico sconosciuto. “Il Mattino” acquistò reputazione sul piano nazionale per cui in poco tempo il giornale ebbe una propria tipografia, ma si disse e sospettò anche che Scarfoglio, uniformandosi del resto all’uso dei tempi d’allora (e non solo d’allora!), patteggiasse i suoi interventi, ricavandone appoggi e favori.

Matilde Serao, invece, ebbe un temperamento diverso. «Matilde non sa scrivere», diceva Scarfoglio: era vero che la moglie, come autodidatta, non possedeva piena sicurezza della lingua, ma in compenso aveva sensibilità viva e profonda per i problemi che riguardavano la vita sociale ed in particolare quelli della povera gente.
Donna Matilde, che a Napoli era diventata un’istituzione, si separò dal marito e fondò un altro giornale: “Il Giorno”, che non ebbe molta fortuna, ma che contribuì a popolarizzare la cultura letteraria ed artistica e ad incivilire i ceti popolari. Con la scomparsa di Scarfoglio e della Serao finì il periodo d’oro del giornalismo napoletano che tanti letterati aveva accolto nelle sue redazioni.


Giornalismo a partire dalla Ia guerra mondiale
La tradizione fu raccolta da un nuovo giornale sorto a Roma come organo personale del giornalista e deputato Sydney Sonnino: “Il Giornale d’Italia”. La direzione fu affidata ad Alberto Bergamini che creò la famosa “terza pagina”, che comprende l’articolo letterario, il servizio di colore o l’inchiesta su di un problema d’interesse generale.

Durante la prima guerra mondiale venne introdotta la censura preventiva sulla stampa per impedire la divulgazione di notizie dannose al pubblico interesse,  e si può dire che da allora e  fino alla fine della seconda guerra mondiale il giornalismo italiano non ha avuto più storia.

Nel periodo che seguì la fine della guerra ed il ritorno dell’Italia ad una normale  amministrazione, scomparvero le vecchie testate, perché fu detto che si erano compromesse con il fascismo.  Alcune di esse ricomparvero successivamente con la postilla di “nuovo”. L’amministrazione militare alleata durante l’occupazione del territorio aveva consentito la pubblicazione di un giornale in cui avessero voce tutti i partiti allora rappresentati nel comitato di liberazione.
A Roma iniziarono la pubblicazione i giornali politici di partito: “Risorgimento Liberale”, “Avanti!”, “Unità”, “Italia Nuova”, “Italia Libera”, “Voce Repubblicana”, “Popolo”, cui si aggiunsero il quotidiano indipendente “Il Tempo” e “L’Uomo Qualunque” di Guglielmo Giannini.

Erano gli anni di aspre polemiche politiche, derivanti dalla scelta della forma costituzionale, che doveva portare al passaggio della monarchia alla repubblica.
Fu anche il periodo in cui il giornalismo italiano si arricchì di nuovi contributi nei settori tecnici, particolarmente in quello economico, come quello di Luigi Einaudi ed Epicarmo Corbino che svolsero una magistrale divulgazione dei problemi finanziari ed economici, affermando fondamentali principi per la ricostruzione del paese.

Anche il giornalismo politico più propriamente detto, negli anni del dopoguerra, ha subito una profonda trasformazione. I rapporti tra cultura e giornalismo si sono fatti più stretti, tanto che è possibile ad uomini che svolgono nel campo del pensiero,  alto magistero, come Mario Missiroli, Panfilo Gentile, Giovanni Spadolini, Guglielmo Emanuel, Franco Bozzini, tenere il posto di articolisti di fondo nei più importanti quotidiani.
Ma pure nella cronaca politica e nel cosiddetto “colore”, in quei servizi di inviato speciale che formano tanta parte del giornale moderno; il tratto di attualità, la sfumatura psicologica, l’aspetto singolare e caratteristico di un avvenimento, sono colti oggi con occhio più attento e con un’arte più raffinata. E’ sorto, cioè, il tipo di giornalista che scrive di tutto, rappresentativo dei nostri tempi, capace di trattare con garbo e competenza qualsiasi argomento.

Giornalismo molisano
Per quanto riguarda il Molise, va detto che, dopo aver attraversato per molti anni una difficile crisi per la sempre più scarsa diffusione dei giornali quotidiani, quasi non più presenti con le edizioni locali, un importante fermento si registra attualmente nel giornalismo, nell’editoria regionale e nell’emittenza radio-televisiva privata.
Stiamo, quindi,  attraversando un momento che dall’inizio degli anni Novanta si ricollega alla splendida ed indimenticabile esperienza che in molti  abbiamo vissuto a partire dall’immediato dopoguerra.
Esistevano, infatti, negli anni Cinquanta del secolo scorso ben sette tesate di giornali quotidiani con la pagina regionale e con una diffusione rilevante in tutti i paesi del Molise.
Negli ultimi trent’anni la loro presenza è andata progressivamente scomparendo con la soppressione, nell’ordine, delle pagine di “Momento-Sera”, “Il Momento”, “Roma”, “Il Giornale d’Italia”, “Il Messaggero”, e “Il Mattino”.
L’avvenimento ha rappresentato un fenomeno doloroso ed inquietante, perché quelle pagine hanno significato non solo la fucina nella quale tanti di noi si sono preparati alla professione nella trincea difficile e meravigliosa del giornalismo di provincia, ma anche e, soprattutto, perché nella storia del Molise quelle pagine sono state l’espressione più valida per il verificarsi di avvenimenti storici quali l’autonomia regionale.

In questo vuoto di informazione era sfuggito alla società molisana l’importanza che il contributo della stampa poteva continuare a dare alla soluzione dei tanti problemi che ancora affliggono il Molise.
Occorre, forse, ricordare alla nuova classe politica molisana ciò che ha anche rappresentato, nel passato, il giornalismo regionale, che per tanti anni si è espresso attraverso una estesa rete di giornalisti e di collaboratori, che hanno sempre dimostrato una profonda conoscenza dei problemi locali.
Nei decenni che seguirono il dopoguerra nel Molise si è registrata una esplosione del giornalismo di provincia impegnato e di elevata professionalità: un fenomeno culturale straordinario, anche perché nella regione non esisteva un precedente tessuto professionale giornalistico, né una consistente tradizione in questo settore.
All’epoca, oltre alla pubblicazione di numerosi periodici, che si sono succeduti negli anni con testate diverse, ma quasi sempre redatte e sostenute dallo stesso gruppo di giovani impegnati, il Molise, inaspettatamente, è stato interessato dalla presenza di numerosi quotidiani, che hanno dedicato alla regione almeno una pagina di cronaca locale.

Sono stati questi spazi le palestre dei dibattiti e di tanto impegno politico e sociale da poter determinare avvenimenti eccezionali, tra cui il più significativo, come prima accennato, è stato quello relativo all’istituzione della ventesima regione italiana,  che ha consentito al Molise di distaccarsi dall’Abruzzo e di assumere una diversa autonomia politica ed amministrativa.
Come valutazione storica, c’è da aggiungere che l’iniziativa dell’autonomia regionale non era, all’epoca, un impegno costante della classe politica. E’ stato proprio il giornalismo molisano che riuscì a sollecitare un grande movimento di opinione pubblica e a forzare le scelte politiche.

Si è reso necessario questo collegamento al passato per meglio comprendere quale enorme vuoto si era determinato nella diffusione dell’informazione nel Molise, proprio nel momento più difficile della sua esistenza, quando venne interessato pesantemente dall’emigrazione, che allontanò dalla propria terra circa metà della popolazione attiva.
In quegli anni, i molisani acquistavano giornali quotidiani in misura maggiore rispetto ai lettori di oggi.  Infatti, negli anni Cinquanta e Sessanta, la diffusione dei giornali “Momento-Sera”, “Mattino”, “Tempo”, “Messaggero” e, per alcuni anni “Momento”, “Roma” e “Giornale d’Italia”, era talmente capillare che esistevano, in quasi tutti i comuni, sia il corrispondente che un punto vendita. Oggi, viceversa, i giornali arrivano solo nei grossi centri, mentre sono totalmente scomparsi in circa il 40% dei comuni molisani, anche per quanto riguarda gli abbonati.

Era andato, quindi, distrutto anche quel tessuto umano e culturale, costituito da una fitta rete di corrispondenti, che risultava ramificata su tutto il territorio regionale.
Questo patrimonio è stato in parte recuperato negli ultimi anni dai giovani che intendono accedere alla professione.

Riforma dell’Ordine dei giornalisti italiani
Ma nel giornalismo molisano, come nell’informazione nazionale, si avverte  anche la necessità di stabilire nuove regole per l’esercizio della professione, con la modifica della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, datata 1963 e non più adeguata ai tempi, alle nuove tecnologie, alle qualifiche e ai titoli professionali. Tra cui la laurea per l’accesso, come chiede la comunità europea. Una riforma della legge, attesa da oltre trent’anni, e che il Parlamento ancora una volta ha rinviato per cui si ricomincerà da capo con la nuova legislatura, con la promessa di cambiare tutto, per non modificare niente, come diceva il Gattopardo.

Per il momento, la categoria è sempre più inflazionata con oltre centomila iscritti nei due elenchi  ̶ professionisti (28.000) e pubblicisti (73.000) – tre volte di più dei colleghi francesi, il doppio degli inglesi e degli americani e altri paesi del mondo dove, pur non avendo l’Ordine, l’accesso è più rigoroso, professionale e meno burocratico che in Italia.
Inoltre, degli oltre 100.000 iscritti all’Ordine, solo il 19% dei giornalisti  ̶  uno su cinque – ha un regolare  contratto di lavoro e paga i contributi previdenziali obbligatori.
L’Ordine dei giornalisti italiani non riformato dal Parlamento dalla legge antiquata del 1963,  diventa sempre più un organismo burocratico, incaricato della tenuta dell’Albo e meno utile ai suoi iscritti e ai cittadini per assicurare una corretta deontologia, qualifica e formazione professionale.
Nino Amoroso

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