di Nino Amoroso
Le origini del giornalismo sono antichissime e si
perdono nella notte dei tempi. I leggendari Sumeri, intorno al 3.500 a.C.,
conoscevano già quest’arte. Infatti, le pietre raccontano imprese di popoli
primitivi, anche se è difficile considerare una pietra l’equivalente di un
giornale: ma il mutamento della tecnica non tocca la sostanza quando lo scopo
resta identico, cioè far arrivare i messaggi.
Allontanandosi dalle incertezze di un’epoca lontana,
molti ritengono Erodoto - molto più
vicino a noi - il padre del
giornalismo. Erodoto (V sec. a.C.) può
essere considerato, in effetti, il primo “inviato speciale” poiché viaggiò molto e lasciò particolareggiate
relazioni di ciò che vide e conobbe durante i suoi viaggi: grazie a lui
sappiamo dell’esistenza del popolo dei Tauri, che sacrificava alla regina
Ifigenia i greci catturati sul mare,
degli Agatirsi che avevano le donne in comune, dei Neuro o lupi-mannari,
delle Amazzoni, ecc… E’ certo che
nessun giornalista di oggi potrebbe dire di più su questi popoli di quello che
ha raccontato Erodoto, con una tecnica chiara “dell’evidenza”, invidiata dai
giornalisti di tutte le epoche.
Queste stessa tecnica dell’evidenza fu sfruttata, più
di un secolo dopo, da uno dei maggiori scrittori di tutti i tempi, il grande
Platone, narrando la morte di Socrate:
documento e testimonianza altissima di
un’arte che pure trasse il suo contenuto tragico dalla realtà e affidò il
ricordo di quel sacrificio alla magia della parola.
Per noi, comunque, la storia del giornalismo comincia
dai romani che conobbero il giornale, dal latino diurnalis, nel senso preciso del termine, e lo conobbero da tempi
antichissimi. Infatti, Flavio affermò che i Babilonesi avrebbero avuto
storiografi incaricati di scrivere “giorno per giorno” il racconto degli
avvenimenti pubblici. L’antica Roma
ebbe i suoi “annali” dai primordi della
storia. Lo affermano concordemente Cicerone e Servio, che raccolsero le antiche
memorie della città.
Ma il giornalismo romano esce dalla preistoria con i
“Commentarii” di Giulio Cesare. Il termine “commentarii” non fu inventato da
Cesare, esisteva prima di lui e significava un particolare modo di scrivere che
noi chiamiamo “appunto”, cioè una nota
presa sul momento a ricordo della cosa accaduta o magari dettata all’istante al
giornale per telefono.
Il giornalismo nel Medioevo non ha storia, perché in
questa epoca solo i monaci si incaricavano di diffondere le notizie di maggior
interesse. Nel 1450 fu inventata da Giovanni Gutenberg di Magonza la prima
macchina tipografica, che doveva porre la premessa per un rapido sviluppo del
giornalismo. Trascorse, invece, oltre un secolo prima che si avviassero i
timidi tentativi per stampare un foglio di carta recante alcune notizie, che
verranno chiamati “avvisi”.
Con l’inizio del Seicento si diffonde
l’uso delle “gazzette”, cioè di più “avvisi”, raccolti ed ordinati secondo la
provenienza, e che sono le antenate dei
nostri attuali giornali. L’origine del
nome è dovuta alla moneta veneziana di sue soldi, che allora era il costo di
una copia della “gazzetta”.
La storia dei giornali italiani prima
del Risorgimento è abbastanza sbiadita. La rivista di maggiore fama, dopo “Il Conciliatore”,
fu ”L’Antologia”, fondata da Gino Capponi. Quando sopravvennero i moti del
1848, a seguito dell’abolizione della censura, fiorirono i fogli liberali, tra
cui “Il Nazionale” di Silvio Spaventa e “Mondo Nuovo” di Petruccelli della
Gattina. Il valore giornalistico di questa stampa è limitato, ma il propulsore
del giornalismo italiano nel senso moderno della parola fu proprio Petruccelli
della Gattina.
Ferdinando Petruccelli della Gattina
esordì come uomo politico, rappresentante della Lucania al Parlamento di
Napoli. Il giornale che nel 1848 fondò a Napoli, “Mondo Nuovo”, fu certamente
il più polemico d’Italia, ma non fu soltanto questo. Petrucelli introdusse nel
giornalismo italiano il “colore”. Si trattava, però, di un colore a
chiaro-scuro, tutte luci ed ombre, sulla scia della tradizione pittorica
napoletana e la moda romantica del tempo.
Egli non fu mai sobrio nell’utilizzo di
aggettivi, e tuttavia certe sue scene conservano la freschezza ed il fascino
dei grandi reportages, come la
descrizione che fece della battaglia di Custoza e di cui il “Figaro” di Parigi
scrisse: «La sua descrizione del campo
di battaglia di Custoza, visto di notte, eguaglia in orrore le acque forti del
Goya, o le cere spaventose del siciliano Zumbo, che si vedono alla Signoria di
Firenze: la notte piena di spavento, una carneficina piena di fantasmi, con
pozzo di sangue e grida di feriti. No, niente era più fantastico e più
crudelmente vero di quel quadro d’agonia. Mai il reportage ha dato un’opera
d’arte superiore, ad un tempo scorrevole e definitiva».
Il giornalismo italiano della seconda
metà dell’Ottocento seguì la fortuna di questa formula e l’espressione più
importante del modello di scrivere un giornale in modo spigliato e
spregiudicato si chiamò “Il Fanfulla”, che uscì a Firenze il 16 gennaio 1870,
nel 1876 fu trasferito a Roma e, per molti anni, fino all’avvento della
sinistra al potere, fu considerato il più autorevole giornale d’opinione.
Ma mentre le fortune del “Fanfulla”
declinavano per l’abbandono dei redattori più preparati, si affacciava a Roma
“Il Messaggero”. Il giornale fu fondato da Luigi Cesana nell’anno 1872 e
cominciò ad essere pubblicato in piccolo formato al prezzo di un soldo. Il “Messaggero” in pochi anni divenne un
giornale popolare, arrivando verso la fine del secolo alla tiratura giornaliera
di 20.000 copie. Seguirono poi le testate del Fracassa, Don Chisciotte e la
Tribuna in cui entrarono, giovanissimi, Matilde Serao - quando ancora era una semplice impiegata delle
poste - e Gabriele D’Annunzio.
Tuttavia il giornalismo romano della
fine dell’Ottocento, nonostante la sua sufficienza, nonostante il vantaggio
nella sede del centro politico del paese, rimase artigiano e per certi aspetti
provinciale, quando già a Milano si affermavano due grandi giornali, la cui
tiratura ai primi del Novecento raggiunse le centomila copie: “Il Secolo” e “Il
Corriere della Sera”.
Per molti anni “Il Secolo” fu
considerato il giornale di Milano, della Lombardia e dell’Emilia. Il
proprietario del “Secolo” era Edoardo Sonzogno e fu il primo editore a creare,
per il proprio giornale, servizi telegrafici di corrispondenza, una perfetta
rete di distribuzione in tutta Italia e la stampa con moderne rotative.
Il duello tra “Il Corriere della
Sera” ed “Il Secolo” per la conquista
del mercato e per il titolo di maggior organo di stampa italiana, durò a lungo
e si concluse con la vittoria de “Il Corriere”.
Questo giornale è nato il 5 marzo
1876 per iniziativa di un gruppo di conservatori moderati con a capo un giovane
cantoniere, Benigno Crespi. Il primo gennaio del 1900 la tiratura arrivò a
centomila copie. Nella redazione entrarono Ugo Oietti e Luigi Barzini, Arnaldo
Fraccaroli e Guelfo Civinini. La direzione venne assunta da Luigi Albertini,
cui è succeduto il fratello Alberto e che hanno trasformato “Il Corriere della Sera” in un grande
giornale europeo con l’attuale tiratura di seicentomila copie.
Ma la particolarità della stampa
quotidiana in Italia è che nessun giornale, per quanto autorevole e ricco di
mezzi come “Il Corriere della Sera”, vi ha assunto l’importanza di organo
principale, come il “Times” di Londra o “Le Monde” di Parigi.
La provincia italiana non si lascia
mai imporre il giornale né da Roma, né da Milano; ha saputo mantenere la sua autonomia d’indirizzo e di gusto e ha rispecchiato,
anche nel giornalismo, le tradizioni locali.
“La Gazzetta del Popolo” e poi “La
Stampa” a Torino, “Il Secolo XIX” e “Il Lavoro” a Genova, “Il Gazzettino” a
Venezia, “L’Arena” a Verona, “Il Resto
del Carlino” a Bologna, “La Nazione” a Firenze,
“Il Telegrafo” a Livorno, “Il Mattino” e “Il Roma” a Napoli, “La
Gazzetta del Mezzogiorno” a Bari, “L’Ora” a Palermo, hanno sempre riscosso la preferenza
dei lettori di queste città.
Un posto importante nella stampa
provinciale italiana occupò nei decenni che seguirono l’Unità d’Italia il
giornalismo napoletano. La diffusione di giornali partenopei interessò
moltissimo la regione Molise, per cui è opportuno parlare più diffusamente
della loro storia.
Giornalismo napoletano
E’ impossibile elencare tutti i
giornali che si stamparono a Napoli dal 1860 al 1900, basti dire che verso il
1880 si contavano nella città più di cinquanta quotidiani, alcuni dei quali,
scritti e stampati dal proprietario, avevano il formato di un foglio.
Favoriva questa fioritura l’ingegno
meridionale, la passione politica e l’onesta speculazione: perché coloro che
Ferdinando II chiamava “pennaruli” non dimenticavano quello che aveva detto un
loro vecchio collega tanti anni prima e, cioè che: «Lo scrivere, quando non è
arte, diventa professione».
Dalla mole di quegli scritti
spuntarono fuori, talvolta, vigorose personalità e nacque nel giornalismo una
scuola che prese il nome di Napoli.
“Il Giornale di Napoli”, la “Libertà
Cattolica”, “Il Corriere del Mattino”, “Il Pungolo”, “La Patria”, “Il Piccolo”,
“Il Diritto”, ebbero tutti un momento di gloria.
Signori del giornalismo napoletano in
quel periodo furono Raffaele De Cesare, Rocco de Zerbi, Martino Cafiero,
Francesco D’Ovidio, Ferri, Zumbini e Francesco de Sanctis che fondò un suo
giornale che, secondo lui, doveva “rinnovare la sinistra” .
Un posto d’onore nel giornalismo
napoletano ebbe la coppia Scarfoglio-Serao. S’erano conosciuti e sposati a Roma quando entrambi frequentavano
la redazione del “Fanfulla”. Nel 1885, poco dopo le nozze, fondarono “Il
Corriere di Roma”, che non ebbe fortuna. Michele Chilizzi li chiamò a Napoli
alla direzione de “Il Corriere di Napoli”. Alcuni anni dopo, allo Schilizzi
venne in mente di presentarsi deputato, non fu eletto e ne riversò la colpa su
Scarfoglio, il quale, dopo furibonda lite, fondò in proprio “Il Mattino”.
Nato nel 1882, dopo la formazione del
primo gabinetto Giolitti, “Il Mattino” ebbe subito successo. Erano i tempi
dello scandalo della Banca Romana e delle polemiche che ne seguirono. Eduardo
Scarfoglio si tuffò nella mischia portandovi una parola tagliente, un’oratoria
calda e convincente, un rigore logico sconosciuto. “Il Mattino” acquistò
reputazione sul piano nazionale per cui in poco tempo il giornale ebbe una
propria tipografia, ma si disse e sospettò anche che Scarfoglio, uniformandosi
del resto all’uso dei tempi d’allora (e non solo d’allora!), patteggiasse i
suoi interventi, ricavandone appoggi e favori.
Matilde Serao, invece, ebbe un
temperamento diverso. «Matilde non sa scrivere», diceva Scarfoglio: era vero
che la moglie, come autodidatta, non possedeva piena sicurezza della lingua, ma
in compenso aveva sensibilità viva e profonda per i problemi che riguardavano
la vita sociale ed in particolare quelli della povera gente.
Donna Matilde, che a Napoli era
diventata un’istituzione, si separò dal marito e fondò un altro giornale: “Il
Giorno”, che non ebbe molta fortuna, ma che contribuì a popolarizzare la
cultura letteraria ed artistica e ad incivilire i ceti popolari. Con la
scomparsa di Scarfoglio e della Serao finì il periodo d’oro del giornalismo
napoletano che tanti letterati aveva accolto nelle sue redazioni.
Giornalismo a partire dalla Ia guerra mondiale
La tradizione fu raccolta da un nuovo
giornale sorto a Roma come organo personale del giornalista e deputato Sydney
Sonnino: “Il Giornale d’Italia”. La direzione fu affidata ad Alberto Bergamini
che creò la famosa “terza pagina”, che comprende l’articolo letterario, il
servizio di colore o l’inchiesta su di un problema d’interesse generale.
Durante la prima guerra mondiale
venne introdotta la censura preventiva sulla stampa per impedire la
divulgazione di notizie dannose al pubblico interesse, e si può dire che da allora e fino alla fine della seconda guerra mondiale
il giornalismo italiano non ha avuto più storia.
Nel periodo che seguì la fine della
guerra ed il ritorno dell’Italia ad una normale
amministrazione, scomparvero le vecchie testate, perché fu detto che si
erano compromesse con il fascismo. Alcune
di esse ricomparvero successivamente con la postilla di “nuovo”. L’amministrazione
militare alleata durante l’occupazione del territorio aveva consentito la
pubblicazione di un giornale in cui avessero voce tutti i partiti allora
rappresentati nel comitato di liberazione.
A Roma iniziarono la pubblicazione i
giornali politici di partito: “Risorgimento Liberale”, “Avanti!”, “Unità”,
“Italia Nuova”, “Italia Libera”, “Voce Repubblicana”, “Popolo”, cui si
aggiunsero il quotidiano indipendente “Il Tempo” e “L’Uomo Qualunque” di
Guglielmo Giannini.
Erano gli anni di aspre polemiche
politiche, derivanti dalla scelta della forma costituzionale, che doveva
portare al passaggio della monarchia alla repubblica.
Fu anche il periodo in cui il
giornalismo italiano si arricchì di nuovi contributi nei settori tecnici,
particolarmente in quello economico, come quello di Luigi Einaudi ed Epicarmo
Corbino che svolsero una magistrale divulgazione dei problemi finanziari ed
economici, affermando fondamentali principi per la ricostruzione del paese.
Anche il giornalismo politico più
propriamente detto, negli anni del dopoguerra, ha subito una profonda
trasformazione. I rapporti tra cultura e giornalismo si sono fatti più stretti,
tanto che è possibile ad uomini che svolgono nel campo del pensiero, alto magistero, come Mario Missiroli, Panfilo
Gentile, Giovanni Spadolini, Guglielmo Emanuel, Franco Bozzini, tenere il posto
di articolisti di fondo nei più importanti quotidiani.
Ma pure nella cronaca politica e nel
cosiddetto “colore”, in quei servizi di inviato speciale che formano tanta
parte del giornale moderno; il tratto di attualità, la sfumatura psicologica,
l’aspetto singolare e caratteristico di un avvenimento, sono colti oggi con
occhio più attento e con un’arte più raffinata. E’ sorto, cioè, il tipo di
giornalista che scrive di tutto, rappresentativo dei nostri tempi, capace di
trattare con garbo e competenza qualsiasi argomento.
Giornalismo molisano
Per quanto riguarda il Molise, va
detto che, dopo aver attraversato per molti anni una difficile crisi per la
sempre più scarsa diffusione dei giornali quotidiani, quasi non più presenti
con le edizioni locali, un importante fermento si registra attualmente nel
giornalismo, nell’editoria regionale e nell’emittenza radio-televisiva privata.
Stiamo, quindi, attraversando un momento che dall’inizio
degli anni Novanta si ricollega alla splendida ed indimenticabile esperienza
che in molti abbiamo vissuto a partire
dall’immediato dopoguerra.
Esistevano, infatti, negli anni
Cinquanta del secolo scorso ben sette tesate di giornali quotidiani con la
pagina regionale e con una diffusione rilevante in tutti i paesi del Molise.
Negli ultimi trent’anni la loro
presenza è andata progressivamente scomparendo con la soppressione,
nell’ordine, delle pagine di “Momento-Sera”, “Il Momento”, “Roma”, “Il Giornale
d’Italia”, “Il Messaggero”, e “Il Mattino”.
L’avvenimento ha rappresentato un
fenomeno doloroso ed inquietante, perché quelle pagine hanno significato non
solo la fucina nella quale tanti di noi si sono preparati alla professione
nella trincea difficile e meravigliosa del giornalismo di provincia, ma anche
e, soprattutto, perché nella storia del Molise quelle pagine sono state
l’espressione più valida per il verificarsi di avvenimenti storici quali
l’autonomia regionale.
In questo vuoto di informazione era
sfuggito alla società molisana l’importanza che il contributo della stampa
poteva continuare a dare alla soluzione dei tanti problemi che ancora
affliggono il Molise.
Occorre, forse, ricordare alla nuova
classe politica molisana ciò che ha anche rappresentato, nel passato, il
giornalismo regionale, che per tanti anni si è espresso attraverso una estesa
rete di giornalisti e di collaboratori, che hanno sempre dimostrato una
profonda conoscenza dei problemi locali.
Nei decenni che seguirono il
dopoguerra nel Molise si è registrata una esplosione del giornalismo di
provincia impegnato e di elevata professionalità: un fenomeno culturale
straordinario, anche perché nella regione non esisteva un precedente tessuto
professionale giornalistico, né una consistente tradizione in questo settore.
All’epoca, oltre alla pubblicazione
di numerosi periodici, che si sono succeduti negli anni con testate diverse, ma
quasi sempre redatte e sostenute dallo stesso gruppo di giovani impegnati, il
Molise, inaspettatamente, è stato interessato dalla presenza di numerosi
quotidiani, che hanno dedicato alla regione almeno una pagina di cronaca
locale.
Sono stati questi spazi le palestre
dei dibattiti e di tanto impegno politico e sociale da poter determinare
avvenimenti eccezionali, tra cui il più significativo, come prima accennato, è
stato quello relativo all’istituzione della ventesima regione italiana, che ha consentito al Molise di distaccarsi
dall’Abruzzo e di assumere una diversa autonomia politica ed amministrativa.
Come valutazione storica, c’è da
aggiungere che l’iniziativa dell’autonomia regionale non era, all’epoca, un
impegno costante della classe politica. E’ stato proprio il giornalismo
molisano che riuscì a sollecitare un grande movimento di opinione pubblica e a
forzare le scelte politiche.
Si è reso necessario questo
collegamento al passato per meglio comprendere quale enorme vuoto si era
determinato nella diffusione dell’informazione nel Molise, proprio nel momento
più difficile della sua esistenza, quando venne interessato pesantemente
dall’emigrazione, che allontanò dalla propria terra circa metà della popolazione
attiva.
In quegli anni, i molisani
acquistavano giornali quotidiani in misura maggiore rispetto ai lettori di
oggi. Infatti, negli anni Cinquanta e
Sessanta, la diffusione dei giornali “Momento-Sera”, “Mattino”, “Tempo”,
“Messaggero” e, per alcuni anni “Momento”, “Roma” e “Giornale d’Italia”, era
talmente capillare che esistevano, in quasi tutti i comuni, sia il
corrispondente che un punto vendita. Oggi, viceversa, i giornali arrivano solo
nei grossi centri, mentre sono totalmente scomparsi in circa il 40% dei comuni
molisani, anche per quanto riguarda gli abbonati.
Era andato, quindi, distrutto anche
quel tessuto umano e culturale, costituito da una fitta rete di corrispondenti,
che risultava ramificata su tutto il territorio regionale.
Questo patrimonio è stato in parte
recuperato negli ultimi anni dai giovani che intendono accedere alla
professione.
Riforma dell’Ordine dei giornalisti italiani
Ma nel giornalismo molisano, come
nell’informazione nazionale, si avverte
anche la necessità di stabilire nuove regole per l’esercizio della
professione, con la modifica della legge istitutiva dell’Ordine dei
giornalisti, datata 1963 e non più adeguata ai tempi, alle nuove tecnologie,
alle qualifiche e ai titoli professionali. Tra cui la laurea per l’accesso,
come chiede la comunità europea. Una riforma della legge, attesa da oltre
trent’anni, e che il Parlamento ancora una volta ha rinviato per cui si
ricomincerà da capo con la nuova legislatura, con la promessa di cambiare
tutto, per non modificare niente, come diceva il Gattopardo.
Per il momento, la categoria è sempre
più inflazionata con oltre centomila iscritti nei due elenchi ̶ professionisti (28.000) e pubblicisti
(73.000) – tre volte di più dei colleghi francesi, il doppio degli inglesi e degli
americani e altri paesi del mondo dove, pur non avendo l’Ordine, l’accesso è
più rigoroso, professionale e meno burocratico che in Italia.
Inoltre, degli oltre 100.000 iscritti
all’Ordine, solo il 19% dei giornalisti ̶
uno su cinque – ha un regolare contratto di lavoro e paga i contributi
previdenziali obbligatori.
L’Ordine dei giornalisti italiani non
riformato dal Parlamento dalla legge antiquata del 1963, diventa sempre più un organismo burocratico,
incaricato della tenuta dell’Albo e meno utile ai suoi iscritti e ai cittadini
per assicurare una corretta deontologia, qualifica e formazione professionale.
Nino Amoroso
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