(Il primo in alto a sinistra Nino Amoroso con il gruppo operativo della Direzione di Termoli dell'Ente riforma agraria nel Molise)
di NINO AMOROSO
Un percorso storico che negli anni diventa fermento culturale e sociale, ma che talvolta viene trascurato e quasi dimenticato dall’attualità e dall’esistenza delle nuove generazioni. Come è avvenuto in oltre mezzo secolo per la riforma agraria che dal 1951 ha interessato anche le terre del basso Molise, ponendo fine alle lotte contadine ed all’occupazione delle terre, con l’esproprio del latifondo per oltre seimila ettari nei comuni in provincia di Campobasso: Petacciato (ha 1010), Portocannone (30), Rotello (353), S.Giacomo degli Schiavoni (37), S.Croce di Magliano (414), S.Martino in Pensilis (754), Termoli (160), Ururi 12), Campomarino (2200), Guglionesi (285), Larino (240), Montecilfone ( 118), Montenero di Bisaccia (561) Palata (30).
La maggiore estensione di esproprio ha riguardato Ricciarelli Riccardo (1062); Battiloro Domenico (ha 1002); Piccirella Antonietta ed altri (589); Norante Domenico, Antonio e Maria (680); D’Avalos Carlo e Ferdinando (286); De Lisio Mariano (213);
I terreni espropriati vennero consegnati a 753 assegnatari con poderi da 5 a 8 ettari e con 293 quote da circa 2 ettari. Il 46% degli assegnatari erano braccianti salariati fissi, il 22% affittuari, il 14% coloni e mezzadri, il 10 % piccoli affittuari e il 5% operai e piccoli artigiani.
La legge di riforma aveva, infatti, interessato la zona collinare che degrada verso il mare Adriatico e non quella pedemontana, per mancanza di estese proprietà private e già frazionata in quote modeste nel 1806 dalla legge emanata da Gioacchino Murat, con l’assegnazione tra i cittadini di circa 60.000 ettari di demanio feudale e come - osservava G.M. Galanti - già verso la fine del 1700 «in molti comuni molisani vi è l’uso di ammettere le donne ugualmente che i maschi alle divisioni patrimoniali».
Quindi solo nel basso Molise, nei secoli, si è concentrata una elevata proprietà fondiaria in possesso di pochi, che lo scrittore molisano Francesco Jovine, già alla vigilia della riforma agraria, nel suo grande romanzo Le terre del Sacramento, rappresentò ai lettori il tema della gioventù povera molisana che viveva la sua condizione miserabile, mentre i terreni dell’antico feudo erano abbandonati.
L’attuazione della riforma agraria, per decisione coraggiosa e lungimirante del Governo nell’immediato dopoguerra e con le tensioni politiche dopo l’elezioni del 1948, venne affidata, con autonomia operativa e finanziaria, alla Sezione speciale Puglia, Lucania e Molise quale Ente di diritto pubblico, svincolato dalla burocrazia ministeriale, e con un gruppo di giovani e coraggiosi dirigenti che si sono formati sul campo, a diretto contatto con il mondo contadino (per il Molise a Termoli), e che sono stati guidati e coordinati dalla sede centrale di Bari da indimenticabili e storici direttori generali e docenti universitari quali Aldo Ramadoro, Daniele Prinzi, Decio Scardaccione e Girolamo Cappiello.
Personaggi di elevata professionalità, umanità e competenza e che restano anche nei miei sentimenti, con dedizione ed affetto, perchè ho avuto l’onore e la fortuna di operare con loro, in Molise e Puglia, per circa venti anni, ed essere stati artefici della realizzazione della più grande trasformazione della proprietà fondiaria nella storia italiana.
La riforma ha, infatti, offerto anche all’estero lo spettacolo di trasformazione umana e sociale, all’epoca unica al mondo. Come nel basso Molise, dove nel dopoguerra esistevano circa mille famiglie senza terra, il che in molte situazioni significava vivere allo stato brado, in abitazioni malsane spesso insieme al magro bestiame e non essere mai sicuri al mattino, di trovare il pane per alimentare la sera i propri figli. Altri, pur possedendo un misero pezzo di terra, trascorrevano la giornata a zappare una crosta coriacea, a grattarla più che a rivoltarla per ricavare quel poco di frumento o favetta, che era l’eterna alternativa del contadino molisano.
Non sarebbe bastato, dunque, poi che s’era posto all’attenzione del Governo De Gasperi il problema dei miseri contadini meridionali, disporre alla bell’è meglio, una spartizione del latifondo come era stato tentato in passato. Sottrarre, cioè, con un breve decreto, le terre ai baroni e con un decreto ancora più breve distribuirlo ai braccianti senza terra. Stavolta la terra doveva essere loro consegnata come ultimo atto di studi, valutazioni economiche e territoriali, operazioni finanziare, nuove case coloniche, attrezzi agricoli meccanici, bestiame, cooperative di servizi e valorizzazione dei prodotti agricoli, nonché sostegno economico alle famiglie degli assegnatari per i primi due anni dall’insediamento
L’Ente ha fatto tutto questo per quanto è stato possibile per le condizioni ambientali, culturali e politiche che negli anni cinquanta esistevano non solo in Molise, ma anche in zone più difficili nel mezzogiorno d’Italia. Ma, alcuni decenni non sono stati sufficienti per trasformare completamente l’indole primitiva del bracciante, diventato proprietario di vari ettari di terreno seminativo.
A molti, quasi a tutti, per non perdere la terra, casa, bestiame e grandi opere di trasformazione agraria e del territorio era ancora necessaria l’assistenza tecnica e finanziaria per completare la loro formazione, la coscienza di proprietari e di produttori, per orientarli sempre più verso i più moderni sistemi di coltivazione selezionata e di cooperazione, per inserirli nel mondo agricolo moderno e competitivo e nella struttura del mercato comune europeo.
Ma, nel 1976 l’Ente per la Riforma Fondiaria in Puglia, Lucania e Molise venne soppresso, le competenze trasferite alle Regioni e, quindi, sostituito anche in Molise dall’Ente regionale per lo sviluppo agricolo. Dopo di che la struttura della riforma agraria nel basso Molise venne trascurata ed affidata a un cosiddetto ‘’ufficio stralcio’’.
La produzione ottenuta dai poderi e quote assegnate non si è più sviluppata ed adeguata per sostenere le necessità delle famiglie con un numero crescente di figli, che solo in parte hanno trovato occupazione nello stabilimento Fiat di Termoli. Gli altri dopo anni di disoccupazione e quasi sempre insieme ai genitori se ne dovettero andare dal Molise, anche all’estero, come un tempo. Spesso abbandonando e rivendendo le case ed i poderi.
Fine della storia e di una grande epoca, che comunque ha trasformato la condizione civile e sociale nel mezzogiorno, anche se non ha rappresentato il trionfo economico dei contadini del sud d’Italia.
(nella foto il villaggio di Nuova Cliternia - Campomarino - della riforma agraria nel basso Molise)